IL FILO DI ARIANNA di TRIPLAG..il filo per non perdersi nella realtà


Scalfari fotografa l’Italia
domenica, dicembre 23, 2007, 11:06 am
Filed under: politica

da repubblica.it, a firma del Direttore dell’importante Quotidiano: è un po’ lungo ma ne vale davvero al pena.

L’Italia non è triste
ma è solo schifata  (NdB: titolo di un articolo del Ney York Times sull’Italia)

di EUGENIO SCALFARI

La discussione sulla legge elettorale non è molto popolare. Le tv quasi non ne parlano salvo che in qualche salotto televisivo riservato ai pochi appassionati del politichese. I giornali e gli editorialisti si accostano all’argomento con toni sopraccigliosi (con l’eccezione di Giovanni Sartori che è uno specialista in chiarezza sulla materia). Il Paese ha bisogno di ben altro, scrivono, e giù l’elenco dei bisogni insoddisfatti e delle speranze tradite, che sono tanti e anche tanto antichi.

Lo stesso presidente della Repubblica – che pure ha fatto della riforma delle legge elettorale uno dei temi principali della sua predicazione democratica – l’altro giorno ha manifestato il suo malcontento nei confronti del governo per i troppi voti di fiducia ai quali è stato costretto a ricorrere, del resto nel solco aperto dal governo che l’ha preceduto e che peraltro disponeva nelle due Camere di maggioranze numericamente imponenti.

Ma il presidente della Repubblica sa benissimo che il voto di fiducia più volte reiterato al Senato, non è altro che la risposta necessaria all’avvelenamento dei pozzi operato dalla legge-porcata, il “porcellum” proposto dal leghista Calderoli sullo scorcio della passata legislatura e approvato da tutto il centrodestra, Casini in prima fila. I due voti, anzi ormai uno soltanto, di maggioranza al netto dei senatori a vita, non consentono la sopravvivenza del governo senza il ricorso alla fiducia. Perciò è inutile prendersela col termometro, bisogna invece curare la febbre, i sintomi e soprattutto le cause.

È sicuramente vero che il Paese ha bisogno di ben altro, ma è altrettanto vero che una buona legge elettorale costituisce la premessa necessaria e indispensabile affinché quel “ben altro” abbia almeno un inizio. Se c’è bisogno di acqua serve un secchio per trasportarla, ma se il secchio è sfondato bisogna anzitutto ripararlo.
Come si vede, la discussione sulla legge elettorale è tutt’altro che oziosa. Allo stato dei fatti è anzi la questione da risolvere se si vuole che la democrazia italiana possa ancora sopravvivere alla crisi che la sta squassando.

* * *

Una riforma dunque. Ma poi bisogna anche dire quale riforma e perché. Non sono uno specialista, ma la sostanza delle cose è abbastanza semplice da spiegare e da capire.

Non abbiamo in Italia due soli partiti che si contendano il potere di governare. Il Partito democratico di due ne ha fatto uno, ma ne restano ancora troppi, a sinistra come a destra. A sinistra ce ne sono a dir poco sei (senza contare Dini e alcuni “cani sciolti”). A destra quattro (senza contare Storace). Forse ne dimentico qualcuno ma il quadro in sostanza è questo.

Gli elettori sono stufi di questa polverizzazione che accentua il distacco crescente tra l’opinione pubblica e le istituzioni. Sono stufi dei poteri di veto diffusi, delle risse continue, della continua ricerca di visibilità. Un accorpamento è quindi necessario ed è questo l’obiettivo principale della riforma elettorale.

Si può raggiungere in vari modi. Con una legge proporzionale con soglia di sbarramento di almeno il 5 per cento. Chi resta sotto a quella soglia è fuori dal Parlamento. Oppure con il doppio turno e i collegi uninominali. Oppure con una proporzionale con piccole correzioni che premino i partiti di maggiori dimensioni.
Il risultato comune a tutti questi diversi meccanismi è comunque di ridurre i partiti a non più di sei: a destra Berlusconi, Fini, Casini e Bossi; a sinistra il Pd e la sinistra radicale. Più alcune minoranze “linguistiche” come gli altoatesini. Sarebbe già un buon risultato.
Il proporzionale fotograferebbe i consensi ricevuti da ciascuno.

Il proporzionale corretto in senso maggioritario darebbe un premio aggiuntivo ai partiti maggiori: quello di Berlusconi da un lato, quello di Veltroni dall’altro. Rendendo tuttavia necessarie le alleanze dopo il voto poiché nessuno dei due da solo potrà raggiungere il 51 per cento dei seggi parlamentari.
Quali alleanze? Problema difficile da risolvere prima di conoscere dove andranno i voti degli elettori. Se i partiti maggiori supereranno ciascuno il 40 per cento dei voti sarà più facile comporre il “puzzle”. Se si attesteranno intorno al 30-35 si rischia l’ingovernabilità.

Ecco la ragione che suggerisce un proporzionale con qualche elemento correttivo in senso maggioritario, visto che bisogna pure che un governo ci sia ed abbia la forza di governare e la capacità necessaria per affrontare pochi ma essenziali temi.

L’interesse del Paese richiede qualche sacrificio alle varie “ditte” partitiche. Gli elettori hanno comunque il potere di concentrare i voti se la governabilità è l’obiettivo per riparare il secchio sfondato. Lo usino, quale che sia il meccanismo della legge. Se non saranno capaci di usarlo non si lamentino poi di ciò che accadrà.

Per un giorno almeno il potere sarà nelle loro mani.

* * *

Quando arriverà quel giorno?
Molti danno per conclusa l’esperienza del governo Prodi. La previsione è che entro gennaio ci sarà la crisi. Provocata da un voto di sfiducia cui basterebbe la diserzione di Dini e gli altri senatori “extra-vagantes”.
È possibile che ciò avvenga anche se non è affatto
certo.

Prodi si accinge a varare un pacchetto di iniziative in campo sociale che dovrebbe far aumentare in misura consistente il potere d’acquisto dei lavoratori e dei redditi più bassi. Non sembri strano, ma la copertura finanziaria di queste misure c’è ed è anche abbondante. La spesa pubblica infatti negli ultimi mesi ha rallentato il suo flusso. Il deficit è diminuito dal previsto 2,4 sul Pil niente meno che all’1,5. Nove punti in meno. Basterebbe darne un paio all’ulteriore rafforzamento dei parametri europei attestandoci sul 2,2; resterebbero comunque 7 punti per sostenere i salari e i redditi bassi.

Se il governo affronterà questo tema, reclamato perfino dal governatore della Banca d’Italia e dal presidente della Confindustria oltre che dai sindacati confederali, sarà difficile licenziarlo su due piedi. Tecnicamente può accadere, i cespugli del Senato sono in grado di farlo, ma senza alcuna apprezzabile motivazione di fronte al Paese. Tanto più che la permanenza in carica del governo non impedisce (anzi) il negoziato sulla riforma elettorale. Neppure la pronuncia della Corte costituzionale sul referendum la impedisce. Fino a marzo il Parlamento è in grado di approvare la riforma quale che sia e bloccare il referendum.

Ci sono perciò tutte le condizioni affinché il governo resti in carica e governi.

Un consiglio al presidente Prodi (da uno che è stato tra i pochi a ravvisare più i suoi meriti che i suoi difetti): non si occupi della legge elettorale. È un tema che riguarda il Parlamento e non il governo. Pensi a governare, ce n’è già abbastanza per occupare il suo tempo e quello dei suoi ministri, nessuno escluso a cominciare dai vice-presidenti del Consiglio.

“Lasci il mestiere a chi tocca, Vostra Signoria” disse il padre provinciale dei cappuccini al conte zio che reclamava il trasferimento di fra Cristoforo e suggeriva una sede molto lontana da Milano. Il mestiere in questo caso è dei partiti. I ministri facciano i ministri.

* * *

È chiaro che comunque resta il tema del disagio del Paese e del suo distacco profondo dalle istituzioni. Dalla sfera pubblica. Il suo chiudersi nel privato. Le sue incertezze, le sue paure. La sua indifferenza.
Non è vero che gli italiani siano improvvisamente diventati pigri e tristi. Non è vero che solo piccole minoranze siano ancora animate dalla voglia di intraprendere e di farsi largo nel mondo. Questa è una rappresentazione distorta della realtà, affidata alle rozze domande di rozzi sondaggi.

Gli italiani di provincia e di città hanno voglia di fare e anche di ridere e divertirsi. Di pensare con la propria testa e di non farsi imbonire.

Ce ne sono anche disposti ad essere manipolati, a ricevere passivamente gli slogan, le ideologie, perfino i lazzi dei tanti Dulcamara e dei tanti buffoni di corte che li attorniano. Ma quegli italiani, loro sì, sono minoranza. Tre, quattro, cinque milioni tra manipolati, furbetti, furboni. “Clientes”. Non è questa la maggioranza del Paese.

Ma un punto resta fermo: la maggioranza del Paese ha rigetto per gli spettacoli che gli vengono inflitti da chi, maggioranza od opposizione, dovrebbe rappresentarli. Un rigetto crescente, che sta superando i limiti di guardia.

Una magistratura che ricama sgorbi sulle sue toghe aggrappandosi al cavillo della norma senza capacità né voglia di coglierne la sostanza. Magistratura pubblicitaria, così dovrebbe chiamarsi la parte ormai largamente diffusa che insegue la propria visibilità non meno dei Diliberto e dei Mastella.

La vicenda Forleo è il sintomo palese di questa devastazione pubblicitaria che sta sconvolgendo l’Ordine giudiziario e, con esso, il corretto esercizio della giurisdizione. Ho grande rispetto per Franco Cordero, nostro esimio collaboratore, e capisco anche le motivazioni giuridiche che l’hanno indotto a difendere il Gip milanese.

Secondo me quel Gip andrebbe censurato dal Csm non per la procedura che ha seguito ma per l’esibizione di volta in volta vittimistica e sguaiata, con la quale ha invaso teleschermi e giornali. Disdicevole. Aberrante per un magistrato. Falcone, tanto per dire, non ha mai usato quel metodo né lo usarono il magistrato Alessandrini, l’avvocato Giorgio Ambrosoli e tutti coloro che del mondo della giustizia caddero sotto il piombo del terrorismo o della mafia.

Ma la maggioranza degli italiani è anche schifata per la vergognosa commedia che si continua a recitare alla Rai, tra il capo di Mediaset e i suoi servi inseriti in servizio permanente nell’azienda pubblica.

Ha scritto ieri Giovanni Valentini su queste pagine commentando la telefonata tra Berlusconi e Agostino Saccà: “Così la Rai, già greppia e alcova di Stato, viene ridotta al rango d’una filiale di Mediaset, una società controllata, una “dependance” e un “pied a’ terre” del Biscione”.

Bisogna averla ascoltata oltre che letta quella telefonata, quelle due voci, la voce del padrone di volta in volta annoiata e imperativa, e quella del servo, omaggiante, inginocchiato, pronto ad anticipare i voleri del padrone cercando di riceverne qualche briciola e qualche osso per andarselo a rosicchiare in cucina. Disdicevole. Anzi stomachevole. Ma i politici, tutti senza quasi eccezione, hanno avuto come reazione quella di accelerare il decreto che bloccherà le intercettazioni e la loro pubblicazione. Sul merito, sui contenuti, hanno sorvolato come se fosse ininfluente che il pubblico li conoscesse. Solo Prodi, voglio dargliene atto, ha frenato lo zelo assai mal riposto del Guardasigilli.

Non parlerò del Tar del Lazio. Le sue pronunce parlano da sole. In una doppietta di sentenze ha stabilito nella prima il principio che l’azionista della Rai, che ha il diritto di nominare un solo membro del consiglio d’amministrazione dell’azienda su nove, non può revocarlo dopo averne messo alla prova per un anno intero l’obiettività o la partigianeria. E, secondo colpo della doppietta, aver stabilito l’altro incredibile principio che il ministro che ha la responsabilità politica della Guardia di Finanza non può revocarne il Comandante quando il rapporto fiduciario sia venuto meno per scorrettezze gravi e fondati elementi di negativo giudizio a carico del Comandante in questione.

Come si deve valutare un Tribunale che è una delle più importanti istituzioni giudiziarie e che sentenzia in modo anti-istituzionale? L’opinione pubblica che riceve questo tipo di esempi dai presidi dello Stato, come può riconoscersi nello Stato?

No, colleghi del “New York Times” il nostro non è un Paese né triste né inerte. Semmai è un Paese indignato che non si sente rappresentato oggi come ieri come l’altro ieri e più indietro ancora, fino ai Viceré di triste memoria. L’hanno fatto diventare un Paese anarcoide e allo stesso tempo pronto a farsi cavalcare dai potenti di turno. Ma ci sono ancora – e sono tanti – che rifiutano questi attributi e si aspettano un cambio di marcia e nuove speranze.
Noi siamo tra questi.



Il razzismo della Lega Nord a Treviso
domenica, dicembre 23, 2007, 10:54 am
Filed under: politica

da repubblica.it

Treviso, offensiva leghista
“I musulmani sono un tumore”

di FILIPPO TOSATTO
 La preghiera all’aperto dei musulmani di Treviso

TREVISO – Tempi duri per i musulmani nella città amministrata dal sindaco Gobbo e dallo sceriffo Gentilini: una cinquantina di fedeli è stata costretta a celebrare la preghiera collettiva del venerdì in un parcheggio, con i tappeti stesi sull’asfalto, dopo che l’amministrazione leghista ha proibito loro di riunirsi nel centro sportivo messo a disposizione, gratuitamente, da un imprenditore locale. Non è facile, per gli islamici, trovare un luogo di culto nella città roccaforte del Carroccio: in passato si riunivano nella sala di un oratorio dell’hinterland ma le pressioni della Lega – che ha inviato una lettera di protesta al Vescovo – hanno indotto il parroco a revocare il permesso.

Da parte sua, il sindaco nega che il divieto costituisca una vessazione: “Lo Sporting Club non è omologato a ospitare tutte quelle persone – afferma Giancarlo Gobbo – Qui l’intolleranza non c’entra, è una questione di regole e a Treviso la legge la facciamo rispettare”. “Tanta severità è quantomeno sospetta”, ribatte a distanza Giuseppe Zambon, il proprietaro del circolo sportivo: “In passato qui abbiamo ospitato molti convegni e feste e mai Comune e polizia municipale hanno avuto qualcosa da obiettare”. Legalismo o persecuzione? A chiarire il significato reale del “niet”, ci ha pensato come al solito, il duro dei padani, Giancarlo Gentilini: “Era un tumore che poteva degenerare in metastasi, noi l’abbiamo estirpato”.

Amarezza e sdegno tra i fedeli musulmani:
“L’amministrazione dimostra, ancora una volta, un livello culturale e politico molto basso. È vergognoso come a Treviso si continuino a calpestare i diritti delle minoranze”, dichiara il presidente della comunità Joussef Tadil. “Solo due giorni fa i vigili sono venuti a controllarci, uno ad uno, durante la preghiera. Potevano benissimo farlo prima o dopo, senza interferire in un momento che per noi è sacro”.

Anche la prossima preghiera settimanale si svolgerà all’aperto, stavolta nel piazzale di un’abitazione privata di proprietà di un fedele musulmano, nel paesino di Villorba, alle porte del capoluogo. Ma non si escludono altri intoppi: gli amministratori locali leghisti, hanno già fatto sapere di non gradire affatto “un assembramento di stranieri”.


Nel centrodestra, Forza Italia tace imbarazzata e solo An sembra condividere la linea della giunta. Durissime, invece le reazioni da sinistra. “Un orrido segnale di inciviltà che rischia di attirare sui veneti l’odio dei fanatici”, commenta il sociologo e consigliere regionale verde Gianfranco Bettin. “Un’offensiva razzista senza precedenti”, fa eco il dirigente dei Comunisti italiani Nicola Atalmi, autore di un appello alla Chiesa cattolica affinché “metta all’indice la follia persecutoria della Lega”.

Sferzante, infine, l’editoriale della Tribuna, il quotidiano più diffuso nel Trevigiano: “Un’escalation che lascia sbigottiti e proietta un’ombra cupa, violenta, sulla città e sulla Marca”, scrive il direttore Sandro Moser. “Ciò che stupisce però – aggiunge – è che pochi, pochissimi, nella cosiddetta società civile, anche di fronte alle manifestazioni più brutali e vergognose di intolleranza, fanno sentire la loro voce. Da che parte stanno, davvero, i trevigiani?”.



Iran: 290 esecuzioni nel 2007
domenica, dicembre 23, 2007, 10:46 am
Filed under: esteri

da ansa.it  

  

Iran: impiccato spacciatore

Nel Paese oltre 290 esecuzioni capitali dall’inizio del 2007

(ANSA) – TEHERAN, 22 DIC – Un eroinomane condannato per traffico di stupefacenti e’ stato impiccato in Iran. Era stato trovato in possesso di 365 grammi di eroina. Sono oltre 290, secondo notizie di stampa, le esecuzioni capitali avvenute dall’inizio dell’anno in Iran, contro le 177 riportate da Amnesty International in tutto il 2006. In Iran la pena di morte e’ prevista, tra l’altro, per l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l’apostasia, l’adulterio e la sodomia.



Le Maldive nascoste
sabato, dicembre 22, 2007, 10:13 PM
Filed under: guerre dimenticate

da repubblica.it

L’altra faccia delle Maldive

C’è la storia di Evan, mai tornato a casa. E quella di Ic, che lotta per la libertà del suo popolo. Tutto quello che i turisti in cerca del sogno non vedranno mai

 

di ERWIN KOCH

La madre apre una borsa di plastica, estrae una foto, la mette sulla macchina da cucire, la guarda, resta in silenzio. Trema. “Dalle orecchie”, dice, “gli usciva la sabbia bianca”. La stessa sabbia che, unita al verde trasparente di questo mare, incanta i turisti che arrivano qui a Male, capitale delle Maldive, vengono portati sulle cento isole precluse agli abitanti e nulla vedono o sanno che possa disturbare il loro sogno. Certo non la storia di un giovane uomo, chiamato Evan e di sua madre Mariyam, di IC, di Hussein Salah….

Evan Naseem, il secondo figlio di Mariyam Manike, è morto a 19 anni, il 19 settembre 2003, di mercoledì. Come un terzo dei giovani maldiviani era tossicodipendente: era stato trovato con della droga e portato nella prigione-isola di Maafushi. In carcere c’era stata una rissa, lui si era tenuto in disparte, ma le guardie andarono a prenderlo lo stesso: “Non mi toccate”, aveva urlato, afferrando un pezzo di legno. Le guardie arrivarono, lo legarono ad un palo e lo picchiarono in dodici. Con pugni, calci e bastoni. Poi lo lasciarono per terra, senza vita, sulla sabbia bianca.

Mariyam Manike ricorda che una guardia bussò alla sua porta: doveva chiamare il suo capo, le disse, il capo delle guardie. Suo figlio è morto, annunciò quello. Qualcuno la accompagnò a vedere il cadavere, ma le mostrarono solo il volto. Lei però strappò il lenzuolo: vide ematomi, ferite, sangue. Uno disse: il cadavere deve essere immediatamente seppellito, come comanda Dio. Non prima, urlò Mariyam, che lo veda il mondo. Al funerale c’erano centinaia di persone. Più tardi la gente diede fuoco ad alcune stazioni di polizia di Male, all’ufficio del tribunale, all’alto Parlamento, mentre nel carcere di Maafushi cominciò una rivolta dei prigionieri. Le guardie uccisero tre detenuti, ne ferirono diciassette.


Maumoon Abdul Gayoom dichiarò il coprifuoco e lo stato d’emergenza, sospendendo i poteri costituzionali. Poteva, anzi può farlo. Ha un mandato che lo fa succedere a se stesso sin dal 1978: è presidente, capo della polizia, dell’esercito, dei vigili del fuoco, della giustizia e, fino a qualche tempo fa, anche delle finanze e della Banca centrale. Possiede una pista d’atterraggio, un’isola privata e partecipazioni nei complessi turistici, unica ricchezza del paese. I suoi ministri sono tutti amici o parenti. Dopo la morte di Evan, per sedare la protesta popolare, Gaymoon insediò una commissione d’inchiesta e gli autori dell’omicidio furono arrestati. Di recente la loro condanna a morte è stata trasformata in ergastolo.
Mariyam Manike continua il suo racconto: “Undici mesi dopo la morte di Evan ci riunimmo nella grande piazza davanti al quartiere generale della polizia perché cinque democratici riformisti erano stati arrestati. Venne il buio e nella piazza eravamo ormai 10 mila. La polizia entrò con i carri armati e ci inseguì per la città. Io urlai: avete ucciso mio figlio, Evan Naseem”.

Il presidente Gayoom parlò di sollevazione contro la patria, fece arrestare 600 persone, oscurò internet.
Da Maryam la polizia arrivò il giorno successivo: uno tirò fuori un manganello e cominciò a picchiarla. Si mise a ridere quando il sangue cominciò a ricoprirle le gambe e piedi. Era il 13 agosto 2004. Fu portata prima sull’isola di Girifushi, luogo d’addestramento della polizia, poi a Dhoonidhoo, l’isola degli interrogatori che si trova a nord, non lontano dall’aeroporto in cui arrivano turisti ignari. Lì qualche volta, con le catene ai piedi, poteva uscire per fare il bucato e vedeva gli assassini del figlio, dodici uomini che giocavano a carte, parlando forte e allegri. Un giorno incontrò un prigioniero con i capelli neri e lunghi; tremava dalla paura e dal dolore, le disse di chiamarsi IC. L’11 ottobre 2004, la polizia la rimandò a casa. Dopo lo tsunami il presidente Gayoom concesse l’indulto. Oggi Mariyam dice: “Non sono più lo stessa”. Ma, dopo la morte di Evan, secondo lei “anche lo stato non è più lo stesso”. Vero: i maldiviani si sono ribellati per la prima volta, l’unione Europea ha iniziato a chiedere riforme. Due anni fa, Gaymoon ha dovuto autorizzare altri partiti politici. Come quello dei suoi oppositori, il partito democratico che ha la sua roccaforte nell’atollo di Addu.

 Nella sala da pranzo dell’unico hotel di Gan, atollo di Addu, sta seduto l’uomo che Mariyam ricorda. “Non voglio fare la rivoluzione”, dichiara Abdullah Rasheed, che tutti chiamano IC. “Vorrei che ci fossero elezioni libere e pacifiche, un Parlamento che rappresenti il popolo”. Mesi fa, racconta, Gaymoon era arrivato qui per inaugurare una pista di atterraggio. La polizia aveva ordinato alla popolazione di dipingere le case, rastrellare le aree verdi e mettersi ai lati della strada per applaudire. Chi rimane a casa verrà arrestato, avevano minacciato. “Due giorni prima”, ricorda Ic “avevamo scritto slogan sui muri della città: dove sono le riforme? Dov’è la nuova costituzione? Anni, il segretario del Partito democratico, era venuto per aiutarci. Hussein Salah è stato il suo autista. Ha pagato con la vita”.

La strada più lunga della Repubblica, 18 chilometri, unisce quattro isole: Gan appunto e poi Feydu, Maradhu, Hithadhu. Lungo i lati palme e baracche con il tetto di lamiera ondulata, davanti alle quali le donne pestano il corallo e gli uomini riempiono di finissima sabbia bianca dei sacchetti che rivendono a 20 centesimi di euro l’uno come materiale per la costruzione. Anche Hussein Salah, 30 anni, riempiva sacchetti di sabbia. Il 7 aprile 2007, ha portato sulla sua moto Anni, il segretario dei democratici: lo aveva conosciuto nel carcere di Maafushi. Qualche ora dopo, Anni ricevette un sms: “uno di voi due deve morire”.

La sera del 9 aprile, la polizia andò a prelevare Hussein. Il 12 aprile, lui chiamò da Male. “Aveva detto che sarebbe tornato presto”, si dispera oggi il fratello Ibrahim Zareer in questa piccola casa di cemento e lamiera a Naazukee Hingun, Hithadhu, nell’atollo di Addu. Dietro di lui, quasi cieco, c’è il padre, accanto la madre, i fratelli, le sorelle. La sera del giorno dopo un poliziotto telefonò riferendo che Hussein era stato liberato. Ma la mattina del 15 aprile i pescatori trovarono il suo cadavere sulla costa a sud di Male. All’ospedale, un medico esaminò il corpo: il volto e il corpo erano gonfi e coperti di sangue, il setto nasale fratturato, gli mancavano alcuni denti. Causa della morte: not known (sconosciuta). Il fratello partì per Male. “Il cadavere, gonfio e maleodorante, era nella morgue di Galholu, senza refrigerazione. “Tuo fratello deve essere seppellito subito, così vuole Dio”, mi dissero. Ma io risposi che volevo l’autopsia”. Davanti alla morgue si erano raccolte prima decine di persone, poi centinaia. La polizia arrivò a disperderle. La televisione di stato comunicò che Hussein Salah era un tossicodipendente e un ladro e che era stato rilasciato dalla polizia due giorni prima. “Volevo un’autopsia”, piange oggi il fratello cullando la figlia.

L’autopsia è stata effettuata, il 21 aprile 2007, a Colombo, nello Sri Lanka. Alle 4 del pomeriggio il medico ha chiamato il fratello di Hussein, e gli ha detto di avere mandato il rapporto all’ambasciatore delle Maldive a Colombo. “Mezz’ora più tardi”, balbetta il fratello, “mio zio ci ha detto che la televisione di Stato aveva appena sostenuto che Hussein era annegato, che il corpo non presentava ferite o fratture e che era da escludere una morte imputabile a violenza fisica”.
Improvvisamente, il padre si raddrizza sulla sedia: “Mi chiamo Hassan Zareer, solo un uomo anziano e conosco la vita degli uomini. Il medico di Colombo è anziano come me. Due governi, quello maldiviano e quello dello Sri Lanka, lo hanno convinto, volevano un risultato a loro gradito. Si diventa molto deboli quando si è anziani”.

(ha collaborato Assunta Sarlo)



Berlusconi indica il delfino: Letta
venerdì, dicembre 21, 2007, 9:25 PM
Filed under: politica

da repubblica.it

 Berlusconi pensa a Letta premier
e accusa ancora i magistrati

ROMA – “Per il futuro io non penso a me a Palazzo Chigi, ma a Gianni Letta. Lui sarebbe perfetto per quel ruolo”, ha stupito i presenti con la sua schiettezza Berlusconi. Girando tra i tavoli del ristorante dove l’altra sera si è festeggiato il compleanno di Mara Carfagna, la deputata di Fi, il Cavaliere si è mostrato sempre più entusiasta della sua ‘creatura’ politica, ma anche pronto a riavvicinarsi agli alleati della defunta Cdl. E non sono mancati gli attacchi alla magistratura “che ha intimorito i senatori minacciando di mandare in galera le mogli”.

“Non sono stato io a seppellire la Cdl – ha ripetuto ancora una volta il Cavaliere – Lo ha voluto Casini, rendendo impossibile il progetto della federazione e creandomi problemi con Fini”. Poi anche il leader di An ci ha messo del suo, con le accuse dalle colonne del Corriere della Sera e di Repubblica, nei giorni della mancata ‘spallata’ al governo.

Berlusconi sa bene – anche perché Fini non manca di ripeterglielo ogni giorno – che l’asse con Veltroni sulla legge elettorale potrebbe causare la definitiva rottura. Resta perciò in attesa di scoprire le mosse del leader del Pd, dopo il vertice della maggioranza sulle riforme del 10 gennaio. E intanto manda segnali di distensione agli alleati di un tempo.

E’ da leggersi anche così la sua garbata presenza ai funerali della mamma di Francesco D’Onofrio, presidente dei senatori dell’Udc, dove ha incontrato Pier Ferdinando Casini dopo molto tempo. Ed è così che si spiega il suo discreto sondare gli ambasciatori di Alleanza Nazionale, gli uomini vicini a Fini che dopo giorni di freddo silenzio tornano a parlare con il Cavaliere per tentare la via della ricucitura. Ma se i centristi restano diffidenti, in via della Scrofa c’è chi vede Fini più disponibile a riannodare il dialogo, sempre a partire dalla chiarezza che il leader di An esige su legge elettorale e Pdl.


Berlusconi comunque anche stasera, in una diretta telefonica con una manifestazione del nuovo partito, ha invitato gli alleati a restare insieme “fondendosi nel Pdl con pari dignità e senza che uno sia davanti e l’altro dietro”. Altrimenti si può “restare alleati come lo siamo stati per tanti anni”. “Ma credo sia ineludibile la possibilità di andare insieme – ha detto – e sono estremamente ottimista sul fatto che ci troveremo di nuovo uniti dentro questo movimento di libertà”.

In particolare, il rapporto sciupato con Fini resta una spina nel fianco per il Cavaliere, che anche ieri sera non lo ha nascosto. Duettando con Mariano Apicella, al termine della serata, ha ricordato di quando scrissero a due mani la canzone dell’ultimo cd “Andiamo via”. “Lui aveva litigato con la moglie, io avevo avuto una telefonataccia con Fini. Stavamo in cucina a farci un piatto di spaghetti e il brano è nato così…”. “Andiamo via, da tutti, dai partiti, dalle tv, dai giornali e lasciamoli così con la loro aria afflitta e andiamo in un’isola lontana…”, dice la canzone. E mesi fa, a Trieste, Berlusconi aveva raccontato che un intervento di Letta aveva indotto lui ed Apicella ad ammorbidire il testo. Gianni Letta, appunto, perfetto per tenere insieme le cose.

Ma intanto non accenna a placarsi la polemica
innescata dall’inchiesta di Napoli su una presunta compravendita di senatori e poi rilanciata da Silvio Berlusconi secondo il quale i pm hanno “intimorito” esponenti della maggioranza di Palazzo Madama affinché non facessero cadere il governo. L’ex premier questa sera ha dato dei “contorni” alle accuse fatte qualche giorno fa in un comizio a Bologna, quando aveva parlato genericamente di senatori ‘intimoriti’.

“Se qualcuno di voi viene minacciato addirittura da mandare in galera la propria moglie, qualcuno di voi potrebbe anche essere contento, non io di sicuro….”, ha scherzato Berlusconi. Per poi aggiungere: “A qualcuno è stato minacciato di mandare in galera la propria moglie ed è legittimo che qualcuno si sia spaventato e allora non abbia fatto quello che magari avrebbe voluto fare”. L’ex premier non ha fatto apertamente il nome del leader dei liberaldemocratici Lamberto Dini per poi invece fare riferimento in modo inequivocabile sulle aspettative per il futuro: “I gruppi che sono nati dall’implosione della maggioranza mi hanno assicurato che questo governo non può andare avanti. Ora staremo a vedere se avranno il coraggio di staccare la spina” a questo esecutivo, ha concluso Berlusconi.



Gli indiani si ribellano
giovedì, dicembre 20, 2007, 9:31 am
Filed under: cronaca
da ansa.it

 I SIOUX: “NON SIAMO PIU’ CITTADINI USA”

 WASHINGTON – Gli indiani Lakota, il vero nome dei Sioux, cui appartennero i grandi capi Toro Seduto e Cavallo Pazzo, si sono ritirati dai Trattati conclusi dai loro antenati con gli Stati Uniti più di 150 anni fa. Lo hanno annunciato alcuni rappresentanti della tribù.

 “Non siamo più cittadini degli Stati Uniti d’America e tutti coloro che vivono nelle regioni dei cinque Stati su cui si estende il nostro territorio sono liberi di unirsi a noi” ha dichiarato Russel Means in una conferenza stampa a Washington. Il rappresentante dei Sioux ha precisato che passaporti e patenti saranno consegnati a tutti gli abitanti del territorio che rinunceranno alla loro cittadinanza statunitense. Una delegazione di responsabili Lakota ha indicato in un messaggio indirizzato al Dipartimento di Stato che la nazione Sioux si ritira unilateralmente dai Trattati conclusi col governo federale americano, alcuni dei quali vecchi di oltre 150 anni.

Tali Trattati sono “parole senza valore su carta senza valore” e “sono stati violati a più riprese per privarci della nostra cultura e delle nostre usanze e per rubare la nostra terra”, hanno affermato i rappresentanti della tribù. “Abbiamo sottoscritto 33 trattati con gli Stati Uniti che non sono stati rispettati”, ha dichiarato Phyllis Young, una militante della causa dei nativi americani che ha contribuito a organizzare nel 1977 la prima conferenza internazionale sui diritti degli indiani.



La burocrazia e il non fare
mercoledì, dicembre 19, 2007, 5:16 PM
Filed under: politica

da repubblica.it

Veltroni contro la burocrazia
“L’Italia ha il demone del non fare”

 Walter Veltroni

ROMA – “In Italia c’è il demone del non fare, si preferisce stare tranquilli e non fare guardando con sospetto chi, invece, fa”, ha detto oggi il sindaco di Roma, Walter Veltroni, nel corso della presentazione del corridoio militare dell’ospedale San Giovanni di Roma.

Veltroni se la prende con la burocrazia: “Bisogna prendere a cannonate – ha proseguito – l’abitudine di questo Paese di rimandare tutto alla burocrazia, che è un elefante seduto sulla velocità del Paese”.

E bacchetta il malcostume dilagante, sottolineando che “se bisogna passare per stanze e uffici per ottenere una autorizzazione, ci si può imbattere nel mascalzone: vedo riemergere ovunque fenomeni di corruzione”.

Nel nostro Paese, per il leader del Pd, c’è l’idea che “la decisione è un pericolo”. “Ma la corruzione – ha proseguito – nasce dalla vischiosità e dalla poca trasparenza burocratica”. “Il problema non sono i cittadini ma le convenienze”, ha concluso.



*Niente soldi per gli eroi della Catturandi
mercoledì, dicembre 19, 2007, 5:05 PM
Filed under: cronaca

da repubblica.it

I cacciatori di latitanti
fanno ricorso al Tar

di SALVO PALAZZOLO
 

PALERMO – Sono gli eroi senza volto dell’antimafia, i poliziotti della squadra mobile che da anni arrestano latitanti e conducono delicate inchieste assieme alla Procura distrettuale. Ma tanto impegno non è bastato per ottenere il pagamento degli straordinari, centinaia di ore passate in strada, anche nei giorni di festa. I poliziotti più osannati d’Italia dopo ogni blitz aspettano ancora i soldi del 2006 e di tutto il 2007.

In prima linea ci sono i cinquanta della sezione Catturandi e i cento della sezione Criminalità Organizzata della mobile palermitana. Per un giorno, assieme al sindacato, hanno deciso di fare un gesto eclatante: la firma sotto un ricorso al Tribunale amministrativo regionale è la citazione in giudizio del loro datore di lavoro, lo Stato.

Così va l’antimafia in terra di Sicilia: “La stagione più ricca di successi è stata anche quella più avara per i poliziotti che l’hanno conseguita”, è la denuncia di Vittorio Costantini, segretario di Palermo del sindacato Siulp. “Il 2006 è stato l’anno della cattura di Provenzano, poi dell’operazione Gotha, che ha disarticolato lo stato maggiore dell’organizzazione mafiosa. Infine, le indagini che hanno portato alla cattura di Lo Piccolo hanno suggellato l’impegno e il coraggio di questi uomini e di queste donne. Ma le istituzioni sembrano non accorgersene”.

I poliziotti della squadra mobile di Palermo, diretti da Piero Angeloni, non si sono comunque fermati. Lunedì, assieme ai colleghi del servizio centrale operativo, hanno arrestato l’infermiere che aveva curato Provenzano. “Siamo certi – dice ancora Costantini – che i vertici dell’amministrazione sapranno valutare con obiettività l’impegno e la dedizione che tutti i colleghi della Catturandi hanno dimostrato”.

(19 dicembre 2007)



Quindicenni italiani: ignoranti
mercoledì, dicembre 19, 2007, 5:01 PM
Filed under: cronaca

Piano urgente per le scuole medie
Fioroni: “Non sanno perché fa notte”

di SALVO INTRAVAIA

 

Le scuole medie italiane avranno nei prossimi mesi a disposizione cinque milioni di euro per organizzare corsi di recupero in Matematica e Italiano. Per l’Italia è la prima volta in assoluto. Il perché lo spiega lo stesso ministro della Pubblica istruzione, Giuseppe Fioroni, che questa mattina ha firmato una direttiva in cui, tra l’altro, si stabiliscono “le strategie di intervento, le attività di sostegno e di recupero e le modalità di utilizzazione del personale”. A convincere l’inquilino di viale Trastevere che era necessario intervenire con urgenza è stata l’ultima bocciatura appioppata al nostro Paese dall’indagine Ocse-Pisa.

La figuraccia rimediata nelle cosiddette litercy (letteratismo) in Matematica, Scienze e Lettura dai quindicenni italiani è stata definita dallo stesso ministro “un’emergenza non solo della scuola italiana ma di tutto il sistema paese”. “Per questo – spiega Fioroni – porrò la questione al prossimo Consiglio dei ministri e, dopo Natale, in un incontro con il premier, Romano Prodi, e il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, per mettere rapidamente in atto un piano straordinario che coinvolga anche la riqualificazione e aggiornamento professionale dei docenti”.

Ma come mai tanto allarme? Dai questionari somministrati per il Pisa 2006 ad oltre 21 mila quindicenni italiani emerge un livello di conoscenze piuttosto scarso se si considera il livello altamente tecnologico dell’ambiente in cui vivono i nostri adolescenti. Il 62 per cento non sa “il perché del giorno e della notte”. La stragrande maggioranza non sa spiegare, dunque, che l’alternanza del giorno e della notte è dovuto alla rotazione della terra intorno al proprio asse.


E le cose non vanno meglio se si passa alla Matematica o alla Lettura. Tre ragazzini su 10 non sono capaci di “interpretare” una semplice formula come quella del “Tasso di cambio” da una valuta ad un’altra. E la “lettura” di un semplice grafico diventa una difficoltà insormontabile per un quarto degli alunni. Tutte operazioni che i quindicenni delle altre nazioni europee, in particolar modo dei paesi nordici, e asiatiche sanno svolgere con maggiore disinvoltura.

L’intervento a supporto dei ragazzini delle prime classi della scuola media, con un finanziamento di 5 milioni, mira a combattere la dispersione scolastica e a vincere “la sfida per recuperare al successo scolastico e formativo migliaia di giovani come stabilito dell’agenda di Lisbona”. Perché “quasi tutti i debiti formativi dei primi due anni delle scuole superiori – spiega Fioroni – nascono da carenze già emerse negli anni di studio precedenti”.
Stesso discorso per le migliaia di studenti che, in possesso di una preparazione traballante, appena si affacciano alla scuola superiore vanno incontro ad una bocciatura. Per questo il ministro della Pubblica istruzione ha deciso di incrementare il fondo per organizzare i corsi di recupero e sostegno. Saranno 320 i milioni che le scuole superiori potranno utilizzare nel 2008. A conti fatti, fa sapere Fioroni, con questa cifra sarà possibile per ogni singolo ragazzo promosso con debito seguire due moduli di recupero di 15 ore. Basteranno a recuperare tutte le lacune di un anno?

Ma, oltre agli studenti, l’attenzione del ministro è rivolta anche ai professori. “Oltre ad attività specifiche di recupero e sostegno, gli insegnanti potranno attivare appropriate strategie di apprendimento in un rinnovato impegno professionale”. Occorre, insomma, riqualificare i docenti italiani, la cui età media è di 50 anni, che sarebbero un po’ troppo un troppo vecchi per offrire un insegnamento “moderno”. E’ lo stesso Fioroni a fornire una dato che spicca su tutti: in tutta la scuola media italiana ci sono soltanto due professori di Matematica sotto i 31 anni. “Soltanto con una coralità di sforzo del personale docente, degli studenti e delle famiglie si può invertire la tendenza. Il piano straordinario di aggiornamento dei docenti dovrà quindi iniziare dalla scuola media”, ha concluso Fioroni spiegando che “non si tratta di trovare un capro espiatorio ma di mettere mano dove le lacune si sono dimostrate più evidenti”.



Italia: ambiente in maglia nera
martedì, dicembre 18, 2007, 4:19 PM
Filed under: statistiche

da repubblica.it 

 Inquinamento, energia e rifiuti Italia, poche luci e molte ombre Cumuli di rifiuti a Napoli ROMA –

E’ una fotografia dell’Italia con molte ombre e poche luci quella scattata dall’Annuario Apat 2007 presentato oggi a Roma. L’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e del territorio racconta di un paese sempre più inquinato, sempre più schiavo dell’automobile, sempre più incapace di ridurre i consumi energetici e la produzione di rifiuti. Tutti indicatori negativi non solo in assoluto, ma anche nella grande sfida per la riduzione delle emissioni di gas serra e la lotta ai cambiamenti climatici, ai quali i dati confermano che siamo tra i più vulnerabili, con il periodo dal 1981 al 2006 che ha registrato un +21 notti tropicali (ovvero con temperatura minima uguale o sopra 20 gradi) rispetto allo stesso periodo precedente. Le uniche note rosa arrivano invece dalla situazione ecologica dei fiumi, che in linea di massima hanno una valutazione “ottima e buona”, dei laghi, che si guadagnano un giudizio compreso tra “sufficiente e ottimo” e dei boschi, in crescita anche se il trend positivo ha subito un duro colpo con i 7.000 incendi avvenuti nei primi otto mesi del 2007. Nel dettaglio, l’annuario Apat segnala il continuo sforamento dei limiti stabiliti per le polveri sottili (Pm10). Nel 2006 risultavano fuorilegge già a febbraio Milano, Torino,Venezia e Bologna; a marzo Roma; a giugno Genova e Firenze; a ottobre Bari. Sul banco degli imputati innanzitutto il trasporto su gomma, per il quale gli italiani detengono il record europeo di 43 milioni di veicoli (compresi motocicli e vetture commerciali), circa 0,74 per abitante. Nel 2006, rispetto al 1990, aumenta del 29% il trasporto stradale privato che arriva a costituire l’ 81,2% della domanda di trasporto passeggeri, Dal 1990 al 2005 inoltre è cresciuto di oltre il 30% anche il trasporto merci. Quello su strada, come tutti si sono dolorosamente accorti in occasione del blocco dei Tir, costituisce circa il 70% del totale. Ma tante auto, oltre allo smog, significano anche tanto rumore che si va ad aggiungere a quello prodotto da altre attività. L’Apat ricorda come i cittadini segnalino disagi crescenti per attività commerciali e di servizio fonti di inquinamento acustico. Tra le note di allarme anche l’aumento del consumo nazionale di energia (+43,2% tra il 1990 e il 2006) e la produzione di rifiuti (dal 1997 al 2004 è cresciuta del 60%, passando da 87,5 milioni di tonnellate a poco meno di 140 milioni), alla quale la raccolta differenziata con le sue lentezze non riesce a tenere testa.