IL FILO DI ARIANNA di TRIPLAG..il filo per non perdersi nella realtà


*Dottori analfabeti: 1 su 5 ha problemi di comprensione
mercoledì, febbraio 6, 2008, 10:48 am
Filed under: statistiche

da repubblica.it

DOTTORI ANALFABETI

Dirimere un’ambiguità lessicale è un problema per un laureato su cinque. A dir la verità, anche solo comprendere la frase che avete appena letto è un problema per un laureato su cinque. “Termini come dirimere, duttile, faceto, proroga si trovano comunemente sui giornali, ma per molti italiani con pergamena appesa al muro sono parole opache”. Luca Serianni, linguista all’università di Roma 3, ne fece esperienza diretta un giorno nell’ambulatorio di un dentista cui s’era rivolto per un’urgenza. “Con le mie lastrine in mano chiamò al telefono un collega per avere un parere: “Senti caro, aiutami a diramare un dubbio…””. E il professore sudò freddo: “Un medico che non sa maneggiare le parole è un medico che non legge, quindi non si aggiorna, quindi forse non sa maneggiare neanche un trapano”.

Analfabeti con la laurea. Non è un paradosso. E nessuno s’offenda: ci sono riscontri scientifici. Il report 2006 del ramo italiano dell’indagine internazionale All-Ocse (Adult Literacy and Life Skill), coordinato dalla pedagogista Vittoria Gallina, non lascia spazio a dubbi: 21 laureati su cento non riescono ad andare oltre il livello elementare di decifrazione di una pagina scritta (il bugiardino di un medicinale, le istruzioni di un elettrodomestico).

Enon sanno produrre un testo minimamente complesso
(una relazione, un referto medico, ma anche una banale lettera al capocondominio) che sia comprensibile e corretto. Una minoranza? Sì: un laureato italiano su due, per fortuna, raggiunge il quinto e massimo livello. Ma è una minoranza
terribilmente cospicua, anche se si maschera bene. Negli Usa tre anni fa fu uno shock scoprire che i graduate fermi al livello base sono il 14%. Da noi il buco nero si manifesta a tratti, in modo clamoroso, come un mese fa, a Roma, al termine dell’ultimo dei concorsi per l’accesso alla magistratura. Preso d’assalto da 4000 candidati, in gara per 380 posti. Nonostante
questo, 58 posti sono rimasti scoperti: 3700 candidati, tutti ovviamente laureati (magari anche più) hanno presentato prove irricevibili sul piano puramente linguistico. “Per pudore vi risparmio le indicibili citazioni”, commentò uno dei commissari d’esame, il giudice di corte d’appello Matteo Frasca.

Il campanello d’allarme dovrebbe suonare forte. Non si tratta più di scandalizzarsi (e divertirsi) per gli strafalcioni nozionistici degli studenti. No, episodi come il concorso di Roma mettono a nudo il grado zero del problema. Stiamo parlando di chi è senza parole. Di chi dopo cinque (sei, sette…) anni di studio universitario non è riuscito a mettere nella cassetta degli attrezzi le chiavi inglesi del sapere: grammatica, ortografia, vocabolario.

Analfabetismo: anche questa parola sembrava scomparsa dal lessico, ma per esaurimento di funzione. Consegnata ai ricordi in bianco e nero del maestro Manzi. Falsa impressione, perché di italiani che non sanno leggere né scrivere se ne contavano ancora, al censimento 2001, quasi ottocentomila. Se aggiungiamo gli italiani senza neanche un pezzo di carta, neppure la licenza elementare, arriviamo a sei milioni, con allarmanti quote di uno su dieci nelle regioni meridionali. Ma almeno sono numeri che scendono. Aggrediti dal lavoro di meritorie istituzioni come l’Unla, capillarmente contrastati dai corsi ministeriali di alfabetizzazione funzionale per adulti dell’Indire (frequentati l’ultimo anno scolastico da 425 mila persone, tra cui, guarda un po’, 30.407 laureati, in gran parte, però, stranieri). Nobilmente contrastato ai livelli più bassi della scala del sapere, però, ecco che l’analfabetismo riappare dove meno te l’aspetti: ai vertici. Gli studiosi, è vero, preferiscono chiamarlo illetteratismo: non si tratta infatti dell’incapacità brutale di compitare l’abicì, di decifrare una singola parola; ma della forte difficoltà a comunicare efficacemente e comprensibilmente con gli altri attraverso la scrittura. Ma non è proprio questo l’analfabetismo più minaccioso del terzo millennio? Nadine Gordimer, per il bene della sua Africa, è di questo analfabetismo relativo che ha più paura: “Saper leggere la scritta di un cartellone pubblicitario e le nuvolette dei fumetti, ma non saper comprendere il lessico di un poema, questa non è alfabetizzazione”. Siamo sicuri che l’Italia di Dante sia messa meglio del Sudafrica?

Proprio no. Per niente sicuri. Quanti, del nostro già magro 8,8% di laureati (la media dei paesi Ocse è del 15%), leggono ogni giorno qualcosa di più delle réclame e delle didascalie della tivù? Quanti invece sono prigionieri più o meno consapevoli di quella che Italo Calvino chiamò l’antilingua? Non saper scrivere nasconde il non saper leggere. Sette laureati su cento non leggono mai (e sono quelli che hanno il coraggio di dichiararlo all’Istat: mancano quelli che se ne vergognano). Altri sette leggono solo l’indispensabile per il lavoro: e siamo già vicini al fatidico uno su cinque. Ma andiamo avanti: uno su tre possiede meno di cento libri, praticamente solo i suoi vecchi testi scolastici. Uno su cinque non ha in casa un’enciclopedia. Quasi nessuno (73 per cento) va in
biblioteca, e quando ci va, raramente prende libri in prestito. “Manca il tempo”, “sono troppo stanco”, le scuse più comuni. Ma ci sono anche quelli che non accampano giustificazioni imbarazzate, anzi rivendicano il loro illetteratismo come atteggiamento moderno e aggiornato: “leggere oggi non serve”, “è un medium lento”, “preferisco altre forme di comunicazione sociale”.

“La società sprintata”, come la chiama il pedagogista Franco Frabboni, preside di Scienze della formazione a Bologna, uno degli autori della riforma universitaria, è arrivata negli atenei. E gli atenei la assecondano: “La trasmissione del sapere universitario è regredita dalla scrittura all’oralità”, spiega. Nelle aule della nostra istruzione superiore, il grado di padronanza della lingua italiana non è mai messo alla prova. Persino l’arte dell’argomentazione orale, ponte fra i due universi semantici, è svanita, racconta Frabboni: “Professori sempre più incerti fanno lezione con diapositive, seguendo una traccia fissa. Ai laureandi si lascia esporre la tesi con presentazioni powerpoint. I “test oggettivi” d’ingresso sono crocette su questionari”. La competenza linguistica non è considerata un pre-requisito indispensabile: “Devi guadagnarti cinque crediti per la lingua straniera, e cinque per l’informatica, ma non c’è alcun obbligo per quanto riguarda la buona pratica dell’italiano”. Un tacito accordo fissa tetti massimi di lettura ridicoli per i testi d’esame: “Quando un professore assegna più di 150-180 pagine, davanti al mio ufficio c’è la fila di studenti che protestano”.

Protestano, e poi si sfracellano contro il muro dell’esame. Sugli esiti dell’idiosincrasia per la lettura, agenzie private di tutoraggio hanno costruito imperi aziendali, come il Cepu, diecimila studenti l’anno. “Ci chiedono di aiutarli a passare un esame”, racconta il responsabile marketing Maurizio Pasquetti, “ma scopriamo quasi sempre che alla radice c’è la difficoltà o la paura di affrontare testi scritti. Escono da scuole superiori abituati a libri di testo ancora simili a quelli delle elementari, con testi spezzettati, già schematizzati, con tante figure e specchietti: di fronte al terribile “libro bianco”, fatto solo di pagine di scrittura continua, restano terrorizzati”.

“In Francia e Germania gli atenei organizzano gare di ortografia “, sospira il professor Serianni. Da noi è difficile perfino reclutare iscritti per i laboratori di scrittura che alcuni atenei, allarmati, hanno messo a disposizione degli studenti in debito di lingua. Quello di
Modena è affidato al professor Gabriele Pallotti: “Di solito comincio da virgole e apostrofi…”. Pallotti nel cassetto tiene una cartellina di orrori: email, biglietti affissi alle bacheche, “esito profiquo”, “le chiedo una prologa”, “attendo subitanea risposta”. Ma correggere le asinate non è ancora abbastanza. “Saper annotare correttamente parole sulla carta non è saper scrivere” spiega. “Parlare e scrivere sono due diversi modi di pensare. Troppi ragazzi escono dall’università sapendo solo trascrivere la propria oralità, ovvero un flusso continuo di idee non ordinato e difficilmente comunicabile. Cioè restano mentalmente analfabeti”.

Ma se avessero ragione loro? Perché alla fine si scopre che il laureato analfabeta non fa necessariamente più fatica a trovare lavoro rispetto ai suoi quattro colleghi più letterati. le imprese non sembrano granché interessate a selezionare i propri quadri dirigenti sulla base delle competenze linguistiche di base. E non perché non si accorgano delle deficienze dei loro nuovi assunti. Parlare con Carlo Iannantuono, responsabile delle risorse umane per la filiale italiana della Sandik, una multinazionale del ramo macchine per cantieri, reduce da una lunga selezione di personale laureato, è come farsi raccontare una serata allo Zelig: “Quello che se potrei, quello che s’è laureato per il rotolo della cuffia (e si vede), quello che glielo dico così, an fasàn (e io: e dü pernìs…)…”. Gli analfabeti conclamati, calcola, sono solo un 3-4 per cento, ma molti altri non sembrano pienamente padroni delle loro parole. E lei li assume lo stesso? “Dipende”, si fa serio, “noi cerchiamo
bravi venditori. Quello che deve discutere con i dirigenti della Snam è meglio sappia i congiuntivi. A quello che deve convincere un capocantiere della Tav forse serve di più un buon paio di stivali di gomma”.

“Non c’è alcuna sanzione sociale verso l’analfabetismo con laurea”, commenta con sconforto Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. Forse perché non si riconoscono immediatamente, si mascherano bene da alfabetizzati. “Fino a cinquant’anni fa l’incompetenza linguistica era palese: otto italiani su dieci usavano ancora il dialetto. Oggi il 95 per cento degli italiani parla italiano. Ma che italiano è? Solo in apparenza parliamo tutti la stessa lingua. Quando si prende in mano una penna, però, carta canta, e le stonature si sentono”. Non è una questione di stile: l’analfabetismo laureato può fare danni concreti. Il paziente che legge sulla sua prescrizione medica “una pillola per tre giorni”, alla fine del terzo giorno avrà preso tre pillole o una sola? “Ci sono guasti immediati come questo. Ci sono guasti a medio e lungo termine, e ben più pericolosi. Chi non legge smette anche di studiare. In Italia solo un venti per cento di quadri segue corsi di aggiornamento: quattro volte meno della media europea. Una classe dirigente male alfabetizzata, quindi non aggiornata, è la rovina di un
paese, molto più di un crollo della Borsa”. Chi parla male pensa male e vive male: è ormai un aforisma, quella battuta di Nanni Moretti. Se pensa male anche solo un quinto dell’élite dirigente, per De Mauro è un’emergenza nazionale: “Per il futuro economico del nostro paese migliorare l’italiano degli imprenditori, dei professionisti, dei politici, è perfino più vitale e urgente che migliorare i salari dei dipendenti. E non lo prenda come un paradosso”.



Gli italiani e le istituzioni: un rapporto in crisi
martedì, gennaio 22, 2008, 2:09 PM
Filed under: statistiche

da repubblica.it

Crolla la fiducia nelle istituzioni
Sotto il 50% anche la Chiesa

Tra le forze dell’ordine, i carabinieri meglio della polizia e della guardia di finanza
Arretra molto anche la scuola, mentre si registra grande apprezzamento per il volontariato
di ROSARIA AMATO
 

ROMA – Solo un quarto degli italiani ha fiducia nel governo, meno di un quinto nel Parlamento. Ma la grave crisi di sfiducia che ha travolto gli italiani negli ultimi 12 mesi, attestata da un sondaggio pubblicato oggi dall’Eurispes, travolge anche le istituzioni non politiche: meno della metà degli italiani si fida della Chiesa, che arretra di oltre dieci punti, della scuola, della magistratura. Ad aver perso fiducia nella generalità delle istituzioni è la metà degli italiani (49,6 per cento). “Tiene” solo il presidente della Repubblica, che gode ancora della fiducia di un’ampia maggioranza dei cittadini (58,5 per cento). Le percentuali sono particolarmente basse tra i giovani.

La fiducia nelle istituzioni. Il 49,6 per cento degli italiani, secondo il sondaggio dell’Eurispes, ha perso fiducia nelle istituzioni. Per il 40,7 per cento la fiducia è invariata, solo per il 5,1 per cento è aumentata. La percentuale di chi crede meno nelle istituzioni è più alta tra gli elettori di destra e di centrodestra (rispettivamente 70,5 e 60,9 per cento). Ma anche gli elettori di sinistra (43,9 per cento) e centrosinistra (39 per cento) si fidano meno. E comunque rispetto ai dati del Rapporto precedente, il senso di sfiducia degli elettori di sinistra è aumentato di 19 punti percentuali.

Governo e Parlamento. Il 75,3 per cento degli intervistati dichiara di avere poca o nessuna fiducia nel Parlamento: rispetto al 2007 si registra un ulteriore calo del 9 per cento; i fiduciosi sono il 19,4 degli intervistati. Solo un cittadino su quattro si fida del governo (nel 2007 la percentuale era del 30,7 per cento). Solo il 14,1 per cento degli intervistati dichiara di fidarsi dei partiti. Ma non sono troppo popolari neanche i protagonisti dell’antipolitica: personaggi pubblici come Beppe Grillo o Nanni Moretti ottengono un consenso di poco superiore al 20 per cento, comunque superiore al 17 per cento medio dei politici di professione.

dcmaxversion = 9 dcminversion = 6 Do On Error Resume Next plugin = (IsObject(CreateObject(“ShockwaveFlash.ShockwaveFlash.” & dcmaxversion & “”))) If plugin = true Then Exit Do dcmaxversion = dcmaxversion – 1 Loop While dcmaxversion >= dcminversion


La magistratura. Anche la magistratura si colloca sotto il 50 per cento: si fidano di giudici e procuratori il 42,5 per cento degli intervistati, un dato comunque in aumento rispetto al 39,6 per cento del 2007. I giovani dai 18 ai 24 anni dimostrano ancora meno fiducia nella magistratura (17,3 per cento).

La Chiesa. Tra le istituzioni non politiche scivola sotto il 50 per cento anche la Chiesa, che raccoglie la fiducia del 49,7 per cento degli intervistati (perdendo oltre 10 punti rispetto all’anno precedente). Il 41,4 per cento degli intervistati dichiara di non fidarsi di nessuno.

I carabinieri meglio della polizia. Tra le forze dell’ordine, gli italiani si fidano dei carabinieri (57,4 per cento) più che della polizia (50,7 per cento). Il 46,3 per cento ripone fiducia nella guardia di finanza.

Arretra la scuola. Arretra moltissimo anche la fiducia nella scuola, che si attesta al 33 per cento contro il 47,1 per cento del 2007. Le associazioni di volontariato riscuotono molto consenso (71,6 per cento) ma sempre meno dell’anno scorso (78,5 per cento).

Metodologia. La rilevazione è stata realizzata attraverso un campione di 1042 interviste dirette ed è stata conclusa agli inizi del gennaio 2008.



Italia: ambiente in maglia nera
martedì, dicembre 18, 2007, 4:19 PM
Filed under: statistiche

da repubblica.it 

 Inquinamento, energia e rifiuti Italia, poche luci e molte ombre Cumuli di rifiuti a Napoli ROMA –

E’ una fotografia dell’Italia con molte ombre e poche luci quella scattata dall’Annuario Apat 2007 presentato oggi a Roma. L’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente e del territorio racconta di un paese sempre più inquinato, sempre più schiavo dell’automobile, sempre più incapace di ridurre i consumi energetici e la produzione di rifiuti. Tutti indicatori negativi non solo in assoluto, ma anche nella grande sfida per la riduzione delle emissioni di gas serra e la lotta ai cambiamenti climatici, ai quali i dati confermano che siamo tra i più vulnerabili, con il periodo dal 1981 al 2006 che ha registrato un +21 notti tropicali (ovvero con temperatura minima uguale o sopra 20 gradi) rispetto allo stesso periodo precedente. Le uniche note rosa arrivano invece dalla situazione ecologica dei fiumi, che in linea di massima hanno una valutazione “ottima e buona”, dei laghi, che si guadagnano un giudizio compreso tra “sufficiente e ottimo” e dei boschi, in crescita anche se il trend positivo ha subito un duro colpo con i 7.000 incendi avvenuti nei primi otto mesi del 2007. Nel dettaglio, l’annuario Apat segnala il continuo sforamento dei limiti stabiliti per le polveri sottili (Pm10). Nel 2006 risultavano fuorilegge già a febbraio Milano, Torino,Venezia e Bologna; a marzo Roma; a giugno Genova e Firenze; a ottobre Bari. Sul banco degli imputati innanzitutto il trasporto su gomma, per il quale gli italiani detengono il record europeo di 43 milioni di veicoli (compresi motocicli e vetture commerciali), circa 0,74 per abitante. Nel 2006, rispetto al 1990, aumenta del 29% il trasporto stradale privato che arriva a costituire l’ 81,2% della domanda di trasporto passeggeri, Dal 1990 al 2005 inoltre è cresciuto di oltre il 30% anche il trasporto merci. Quello su strada, come tutti si sono dolorosamente accorti in occasione del blocco dei Tir, costituisce circa il 70% del totale. Ma tante auto, oltre allo smog, significano anche tanto rumore che si va ad aggiungere a quello prodotto da altre attività. L’Apat ricorda come i cittadini segnalino disagi crescenti per attività commerciali e di servizio fonti di inquinamento acustico. Tra le note di allarme anche l’aumento del consumo nazionale di energia (+43,2% tra il 1990 e il 2006) e la produzione di rifiuti (dal 1997 al 2004 è cresciuta del 60%, passando da 87,5 milioni di tonnellate a poco meno di 140 milioni), alla quale la raccolta differenziata con le sue lentezze non riesce a tenere testa.



CHI SONO GLI ITALIANI..
venerdì, dicembre 7, 2007, 11:51 am
Filed under: statistiche
Dal sito dell’ANSA

RAPPORTO CENSIS: LA SOCIETA’ ITALIANA E’ ‘POLTIGLIA’

ROMA – Disillusa dalla politica e dalle istituzioni, la società italiana continua a perdere l’identità collettiva. Si frammenta sempre più e, mossa da pulsioni ed emozioni individuali, si ritrova ad essere una “poltiglia di massa”, inconcludente e senza sguardo al futuro. L’Italia poi sta diventando il paese dei telefonini: il loro numero, infatti, sta superando quello dei televisori. L’analisi del Censis, nel 41/o rapporto sullo stato sociale del paese, presentato oggi, descrive un’Italia a due velocità: da una parte lo sviluppo economico che si conferma positivo, dall’altra una società che non rispecchia lo stesso trend ma anzi se ne distacca. Lo sviluppo economico si muove, infatti, su dinamiche di minoranza (come quella industriale che “non sprigiona le energie necessarie per uscire dallo stallo”) che non filtrano fra la gente, non si traducono in processo sociale. – ITALIA AGGRESSIVA E LITIGIOSA. E’ la ‘degenerazione antropologica’, la modalità espressiva quotidiana degli italiani. Ne sono teatro gli stadi e le famiglie. In casa aumentano violenze e separazioni.– E’ CELLULARE-MANIA. Il numero dei telefonini continua a crescere. Li possiede l’86,4% della popolazione contro il 92,1% delle tv. Il telefonino è utilizzato dal 76,9% degli uomini e dal 75% delle donne con punte di oltre il 96% fra i giovani di età di 14-29 anni. Al centro è record di telefonini dove si registra un indice di penetrazione dell’84,5%.

– DELLA POLITICA NON CI SI PUO’ FIDARE. La pensano così 8 italiani su 10. Il 76,1% dice che ‘nessuno si preoccupa di cio’ che accade agli altrì mentre per il 56,4% valgono ‘di piu’ i propri interessi che gli altrì. Sfiducia anche verso le istituzioni. In particolare dello stato, 52,4% dice di essere poco o per niente soddisfatto del suo operato. Maggiori successi li riceve il comune (sfiducia al 32,7%).

 – UN TERZO REDDITO FAMIGLIE PER CASA E ENERGIA. A questi scopi va il 31% degli stipendi. E’ diminuita invece la spesa per alimenti (dal 21,1% del 1996 al 18,9% del 2006).

– IN CARCERE SOLO 4 SU 10 HANNO CONDANNA DEFINITIVA. Dopo l’ indulto i detenuti sono diventati 43.957. Nei penitenziari oltre un terzo è straniero, per lo più clandestini.

– UNIVERSITA’, UNO SU CINQUE E’ FUORI SEDE. Si tratta di 350 mila studenti che preferiscono atenei lontani dalla propria città. La spesa media mensile per le loro famiglie ammonta a 1.100 euro.

– IMPRESE ATTRATTE DA SERVIZI PUBBLICI ON-LINE. L’Italia è al terzo posto in Europa per numero di servizi pubblici destinati alle imprese on line, pari all’87,5% del totale. Diversa la situazione per i cittadini che su questo si trova invece al di sotto della media europea.

– 1 ITALIANO SU 5 VIVE CON CRIMINALITA’. Il 22% della popolazione italiana, ossia circa 13 milioni di persone, vive in zone in cui è presente la criminalità organizzata. Si tratta di cittadini del sud, pari al 77,2% della popolazione di quattro regioni (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia).

– PENSIONATI PENTITI, UN TERZO RITARDEREBBERO USCITA. Il 31% dei pensionati se potessero tornare indietro ritarderebbero l’uscita dal lavoro.

– INTERNET, IMPENNATA DI UTENTI. I fruitori della rete ha raggiunto il 45,3% della popolazione, più 10% degli utenti abituali. Il 68,3% è costituito da giovani tra i 14 e 29 anni.

– ENTRATE COMUNI, INCASSI DA MULTE. Nei Comuni, salgono del 52% le entrate derivanti dalle multe degli automobilisti.

– SOLIDARIETA’ E’ SELETTIVA. Per il 69% degli italiani, in caso del bisogno si può contare sull’aiuto degli altri. Intensa è la partecipazione dei cittadini ai problemi della comunità: il 17,9% si organizza, spesso o molto spesso, con altri per un obiettivo comune. Soprattutto sulla sicurezza nei confronti degli immigrati.