IL FILO DI ARIANNA di TRIPLAG..il filo per non perdersi nella realtà


*Giornalista aggredito dai sicari della mafia
mercoledì, gennaio 30, 2008, 7:03 PM
Filed under: cronaca
 Giuseppe Maniaci, le cui condizioni non sono gravi, ha riportato contusioni ed escoriazioni in diverse parti del corpo.

Il giornalista ha raccontato agli investigatori di essere stato avvicinato ieri sera in via
Di Benedetto, a Partinico (Palermo), da alcuni giovani e di avere riconosciuto, tra gli aggressori, uno dei figli del boss mafioso Vito Vitale.

Maniaci ritiene che l’episodio sia collegato alla messa in onda su TeleJato di un servizio sui lavori avviati dal comune di Partinico su un terreno in zona Vallegrande dove si trovavano alcune stalle di proprietà dei Vitale confiscate dallo Stato.

Telejato, nata 19 anni fa, è stata rilevata e diretta da Giuseppe Maniaci dieci anni dopo. La Tv ha sede a Cinisi e copre un territorio di 20 comuni, con un bacino di circa 150 mila telespettatori.
Il palinsesto della Tv si contraddistingue per continue inchieste giornalistiche sulla mafia e sul territorio di Partinico. Un telegiornale va in onda alle 14 e 15 e si protrae per oltre un’ ora ed è visibile sul sito internet (www.telejato.it)



*Berlusconi si salva in calcio d’angolo
mercoledì, gennaio 30, 2008, 6:57 PM
Filed under: cronaca

da unita.it

Berlusconi assolto: falso in bilancio non è più reato

Berlusconi assolto per il processo Sme. Diciamo la verità, le alternative erano solo due, l’assoluzione o la prescrizione. Motivo? La depenalizzazione del falso in bilancio voluta dal governo di centrodestra gli è tornata utile. A nulla è servita l’insistenza del pm Ilda Boccassini che voleva la prescrizione: nessuna condanna, ma almeno l’’affermazione del reato commesso. E invece no, Berlusconi intasca un’assoluzione a tutti gli effetti: gli contestavano di aver dichiarato il falso nei bilanci della Fininvest dal 1986 fino al 1989. Passa così la linea dell’avvocato difensore del Cavaliere, nonché senatore di Forza Italia, Nicolò Ghedini, che aveva chiesto l’assoluzione perché il fatto non costituisce più reato, così come deciso dalle modifiche alla normativa sui reati societari approvate nell’aprile del 2002. Quando a Palazzo Chigi regnava la Casa delle Libertà.

Il processo era stato sospeso il 28 ottobre 2002: si era dato mandato alla Corte Europea di valutare la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. Il responso arrivò nel maggio del 2005: la Corte Europea decise di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli paesi, anche se ora Ghedini dice che «aveva detto che la modifica di legge dell’aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie».

Nonostante l’assoluzione, comunque, gli avvocati di Berlusconi non sono del tutto contenti. Avrebbero voluto che insieme al processo appena concluso fosse celebrato anche quello relativo alla presunta corruzione dell’avvocato inglese David Mills, per il quale Berlusconi «rischia una condanna a sei anni in primo grado», come stimato da uno dei suoi legali, Gaetano Pecorella. Si erano infervorati, Ghedini e Pecorella, per la decisione della Procura di Milano di tenere separati i due procedimenti. «Certamente – diceva il legale Gaetano Pecorella – è segno della volontà di definire rapidamente il processo Mills, perché escludendo la riunione di due procedimenti, il giudice potrà concluderlo più o meno in coincidenza con le eventuali elezioni anticipate». Il solito complotto delle toghe rosse, insomma. Berlusconi, come è noto, vorrebbe tornare al voto prima possibile, e, come insinuato dallo stesso Pecorella, non è da escludere che tanta fretta sia legata proprio ai procedimenti legali in corso.

«L’assoluzione di Berlusconi dall’accusa di falso in bilancio era scontata – commenta il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena – la legge che abolisce il reato se l’era fatta, come molte altre, su misura». E a chi accusa l’Unione di non aver cancellato le “leggi-vergogna”, Russo Spena spiega che «il governo di centrosinistra stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo». È ovvio, conclude l’esponente di Rifondazione che «se Berlusconi vince le elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».

Attacca anche la deputata dell’Italia dei Valori Silvana Mura , secondo la quale questo è « un caso lampante di investimento politico che ha dato pienamente i suoi frutti, e lo ha fatto al punto che lo stesso Berlusconi ha già annunciato di avere pronto per la prossima legislatura un altro bel pacchetto di leggi-vergogna, ad iniziare da quella sulle intercettazioni».



* Rugby in Rosa
mercoledì, gennaio 30, 2008, 8:18 am
Filed under: storie d'italia

da repubblica.it

Rugby, rimmel e fango
le ragazze che fanno meta

di CORRADO SANNUCCI

ROMA – Gli uomini della mischia, dicono di se stesse quando s’ammucchiano contro le avversarie. Ma non sono uomini, sono donne. “E’ un modo di dire. Quello corretto, le donne della mischia, forse farebbe ridere”. Giuliana Campanella è arrivata da Auckland con i due figli per poter essere in campo venerdì a Dublino contro l’Irlanda nella prima partita del Sei Nazioni femminile di rugby.

“Quando prolungo l’allenamento e preparo qualche calcio tra i pali Patrick, che ha tre anni, mi fa ‘the last one, mommy, please’, mentre Chiara che ha sei mesi bruca il prato”. Daniela Gini è romana, capitana della Red&Blu, figlia di giocatore e moglie di giocatore, come gran parte di questa tribù di ragazze che è cresciuta con il rugby in famiglia. “Era il novembre 2005, sono andata in meta, mi si è storto il piede con frattura dei malleoli e del perone. Li ho rigirati, rimettendoli a posto con le mie mani. Al medico che mi portava fuori e scherzava ho detto: se non piango non vuol dire che non mi faccia male”. Daniela è la faccia glamour della nazionale, con un suo generoso decolletè ha fatto la sua apparizione-choc a una manifestazione nella provincia di Roma: possono essere così le giocatrici di rugby?, si chiedeva Gasbarra.

Il corto circuito tra bellezza e scontro fisico è tutto nella testa di chi sta fuori: per loro che in campo mettono la faccia è tutto normale. Rimmel e fango, tackle e biberon, il combattimento e la carezza, tutto stride con l’immagine della donna. Come stride Paola Zangirolami, 23 anni, da Monselice, uno scricchiolo di un metro e 60, con due occhi azzurri e i riccioli biondi, campione d’Italia con il Riviera del Brenta. E’ il talento dell’Italia del rugby, ma è con queste forze che dovremo combattere i donnoni del nord, le gigantesse inglesi e quegli altri personaggi sparsi nelle altre squadre come la famosa ‘Ugo’ della Francia o ‘Manolo’ della Spagna, così chiamate per la loro scarsa avvenenza.


I commenti più frequenti: ma che le donne giocano a rugby? Oppure: ma le donne devono stare a casa. Oppure: ma che mi stai a prendere in giro. La dimostrazione migliore sarebbe un placcaggio assassino lì sul posto, ma le ragazze fuori dal campo si inteneriscono. “Le belle sono belle e le brutte brutte. C’è chi ha figli e chi è ‘maschile’. Ma perché, gli altri sport non tolgono femminilità? Andate a vedere le botte che si danno in una partita di basket” dice Michela Tondinelli, mediano di apertura della Benetton, la squadra che ha introdotto il rugby femminile in Italia negli anni ’80, vincendo poi 19 scudetti consecutivi.

A ferirle non è il maschilismo estetico ma la clandestinità in cui vivono. Non ci sono televisioni per loro, niente dirette, quindi niente sponsor. La federazione le onora con una diaria di 26 euro al giorno: Daniela affida la figlia a nonni e zii, le altre prendono le ferie, e c’è chi non fa vacanza per lustri.
E’ ancora il mondo del dilettantismo puro e dell’allattamento a bordo campo. “Ma i nostri terzi tempi sono fantastici”, leggendario quello di Cagliari, dove le squadre ospiti della Grazia Deledda (come se la Roma o la Lazio si chiamassero Alberto Moravia) vengono festeggiate con malloreddus, culurgiones e seadas. Niente catering, tutto fatto in casa delle giocatrici.

E’ l’unica concessione alla cultura della donna così com’è stata codificata da chi la vuole casalinga e mamma: ma giocare a rugby è una forma di protesta o di emancipazione? “So soltanto che giocare vuol dire avere coraggio, mettersi alla prova, accettare le sfide. E poi ci piace il contatto fisico”, dice Daniela. Il piacere dell’uno contro uno contrapposto all’uno contro uno con il figlio o il marito: forse allenarsi a questo per quello o viceversa. I numeri del movimento rugbistico femminile però sono indicativi: le tesserate 4 anni fa erano 1000, oggi sono 4000, delle quali l’80% ragazze sotto i 16 anni, probabilmente arrivate al rugby dopo avere visto i fratelli Bergamasco nel Sei Nazioni.

Lo dicono tutte: il confronto con i maschi è sempre presente. Forse i numeri sono troppo piccoli per rivelare una tendenza sociologica ma è significativo un altro dato: sotto Roma non ci sono squadre ma sperdute unità, eroine sole in campi spelacchiati della Sicilia. “Una vergogna” mugugna Giuliana Campanella, che è messinese, protagonista di una stagione in cui a Messina una squadra, e forte, c’era. Giuliana vive nel paradiso del rugby: e avere un marito neozelandese aiuta nel babysitteraggio. La Zangirolami insegna e studia, la Gini è contabile, la Facchini è veterinario, le sorelle Schiavon, Veronica e Valentina, una laureata in lingue orientali, l’altra è imprenditrice. E’ un mondo colto, un’umanità diversa da quella delle veline o delle aspiranti al Grande Fratello. “Ragazze che vogliono apparire per gli altri. Che non rischiano le mani. Che non si sdraiano sulla compagna a terra per proteggerla” dice Daniela. Un mondo colto com’è nella tradizione del rugby, sport delle élite.

Quella volta Twickenham è stato il giorno di gloria della breve storia del rugby femminile: Lo Cicero e qualche altro, che avevano finito da poco la loro partita, si sono fermati a salutare, fare coraggio e a vedere qualche minuto della partita. Un riconoscimento che arriva dai maschi ma è già un inizio. L’impegno della Federugby viene definito da tutte “umano più che economico”: le ragazze arrivano al loro Sei Nazioni con solo una settimana di ritiro e nessuna amichevole di preparazione. Ma anche i maschi erano in queste condizioni cinquant’anni fa, senza risultati, senza soldi, senza tv.

“Siamo le più povere delle povere” dicono. In compenso la loro nazionale è la più italiana delle italiane, qui non ci sono equiparate o oriunde o mogli acquisite. Un problema c’è: le azzurre, a partire dalla Zangirolami, sono tutte troppo piccole. Ma le alte, in Italia, ormai vanno tutte a giocare a pallavolo. Basterebbe una vittoria per fare emergere le protagoniste di un mondo che è fatto di botte, di lividi che passano nella notte e il giorno dopo c’è il bambino da portare all’asilo o l’ufficio da raggiungere. Per ascoltare poi la solita frase: donne e rugby, ma che mi stai a prendere in giro?



* Iraq: bruciano documenti compromettenti e le milizie diventano regolari
mercoledì, gennaio 30, 2008, 1:14 am
Filed under: esteri

da unita.it 

Iraq, rogo di documenti nella Banca centrale

 

Baghdad, ingegneri contro il carovita

Tre attentati dinamitardi con morti e feriti, una decina di cadaveri decapitati trovati al bordo di una strada, soldati americani che tornano in patria dentro bare ammantate della bandiera a stelle e strisce: l’Iraq è sempre l’Iraq. Anzi, dopo alcuni mesi in cui la situazione sembrava aver subito una svolta positiva, in questo martedì di fine gennaio ad uno sguardo d’insieme sembra aver fatto un balzo all’indietro. Eppure ci sono lo stesso delle eclatanti novità, per quanto sia assai difficile darne una connotazione positiva.In uno degli attentati di lunedì che hanno colpito Baghdad – un altro più comunemente è stato contro una pattuglia americana -, è stata una donna a farsi esplodere. Velata e imbottita di esplosivo è riuscita così a confondersi tra le altre in fila per la perquisizione al posto di blocco d’ingresso alla zona commerciale del quartiere sunnita di Amariyah. Due sue vicine sono morte e altrettante sono rimaste ferite per il suo gesto suicida.

Un’altra esplosione ha colpito in mattinata la città di Mosul. Quindici persone sono rimaste ferite: tutti passanti che si trovavano casualmente sulla stessa strada, nel pieno centro cittadino, al passaggio di una pattuglia dell’esercito Usa, obiettivo dell’attentato. Lunedì in un analogo attacco hanno trovato la morte cinque soldati americani.

La città di Mosul e l’intera provincia di Ninive, ai confini con ill Kurdistan iracheno, è da una settimana al centro di violenti combattimenti. Da quando le truppe Usa e irachene hanno lanciato congiuntamente quella che il premier Nuri al Maliki ha definito la «battaglia finale contro Al Qaida». L”offensiva è partita, martedì scorso e i morti sono già un centinaio. Sessanta sono morti nella potente esplosione che ha distrutto un deposito di bombe, probabilmente usato dai qaedisti. Il giorno successivo lì tra le macerie è stato ucciso il capo della polizia della provincia di Ninive che stava facendo un sopralluogo. L’organizzazione qaedista “Stato Islamico dell’Iraq” ha smentito la paternità dell’attentato al deposito accusando «i crociati» – cioè gli occidentali -di averlo realizzato per incolpare gli islamisti sunniti.

A Moqdadiyah, un centro a nordest di Baghdad, nella provincia di Diyala – considerata la roccaforte della corrente irachena di Al Qaida- oggi la polizia ha trovato 19 corpi mutilati, dieci dei quali con la testa mozzata. Tutti uomini la cui morte risalirebbe a pochi giorni fa. Era da un po’ che non si facevano macabri ritrovamenti del genere in Iraq, fino a poco tempo fa molto frequenti, che rimandano alla pratica di torturare e giustiziare i prigionieri da parte di squadroni armati.

Metodi spicci, forse utilizzati anche dagli ex combattenti delle milizie sunnite che adesso vengono inquadrati nell’esercito iracheno in funzione anti Al Qaida.

L’esercito Usa ha annunciato ieri che più di 9 mila membri dei Consigli del Sahwa (“risveglio” in arabo), la milizia sunnita che combatte l’organizzazione di al-Qaeda in Iraq, sono stati selezionati e pronti per essere inquadrati nell’esercito e nelle forze di polizia. Unica condizione richiesta per il loro inserimento nelle truppe regolari è un giuramento di lealtà verso lo Stato e la rinuncia al confessionalismo.

Nel nuovo Iraq, dove qualcosa cambia e qualcosa assume una sembianza diversa, un certo sconcerto è stato suscitato dal rogo che ha semidistrutto, lunedì, il palazzo della Banca centrale irachena. Uno strano incendio divampato all’inizio dell’orario di lavoro, che si è propagato in fretta senza fare feriti ma distruggendo completamente i primi quattro piani dell’edificio. Ci sono volute sei ore ai pompieri per domare le fiamme.

Un certo numero di parlamentari iracheni chiede ora al governo del premier Nouri al-Maliki di formare una commissione d’inchiesta per conoscere le cause e individuare i responsabili del rogo. Che tra l’altro, è curiosamente scoppiato in simultanea con un altro incendio al ministero del Lavoro e degli Affari sociali. Il sospetto è che le fiamme potrebbero essere state appiccate ad arte per distruggere i documenti che provavano le accuse di corruzione nei confronti di alcuni funzionari del governo. E i documenti con cui il ministero del Petrolio dava inizio ai procedimenti per sanzionare le compagnie petrolifere straniere che hanno stretto contratti diretti con la regione del Kurdistan, bypassando il governo centrale.

Testimoni oculari hanno riferito che tutto intorno al palazzo, già protetto da alti muri di cemento, sono stati immediatamente eretti cordoni di sicurezza e posti di blocco, isolando l’intera zona, il quartiere settentrionale di Bab al-Mouadham, e impedendo a fotografi e tele-operatori di riprendere anche solo un fotogramma della scena.



* Il Papa e la richezza: la proprietà non è un diritto, lo dice il Vangelo
mercoledì, gennaio 30, 2008, 1:08 am
Filed under: politica

da repubblica.it

 Il Papa: “La proprietà
non è un diritto assoluto”
Benedetto XVI

CITTA’ DEL VATICANO – La proprietà delle ricchezze, secondo l’insegnamento evangelico, non è un diritto assoluto. Lo ricorda il Papa nel messaggio per la Quaresima, che riafferma come la ridistribuzione delle risorse sia un dovere morale sia al livello degli Stati, sia nella vita di ciascuno, attraverso l’elemosina. “Non siamo proprietari – scrive Benedetto XVI – bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo”.

In proposito, il Pontefice cita il Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo il quale “i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale”.

“Ogni anno – spiega – la Quaresima ci offre una provvidenziale occasione per approfondire il senso e il valore del nostro essere cristiani, e ci stimola a riscoprire la misericordia di Dio perché diventiamo, a nostra volta, più misericordiosi verso i fratelli”. E la Chiesa “si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina”, una pratica, quest’ultima, che rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni”.



* Direzione Nazionale Antimafia: la mafia dentro le istituzioni
mercoledì, gennaio 30, 2008, 12:50 am
Filed under: cronaca

da repubblica.it

Forti infiltrazioni della mafia
nelle amministrazioni del Sud

Indagini in corso su scambio elettorale tra boss e politici meridionali

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso

PALERMO – Le infiltrazioni della criminalità organizzata nella pubblica amministrazione sono fortissime nelle regioni del Mezzogiorno. E soprattutto nel Meridione si indaga per intrecci politico-mafiosi e voto di scambio. E’ quanto emerge dalla relazione annuale presentata dalla Direzione nazionale antimafia, guidata da Piero Grasso. Secondo la Dna, le maggiori inchieste giudiziarie avviate dalle procure Distrettuali antimafia riguardano collusioni fra boss e politici, ma soprattutto fra esponenti della criminalità organizzata e amministratori pubblici.

Infiltrazioni nella pubblica amministrazione nel Sud. Procedimenti penali che puntano a far luce sull’intreccio tra criminalità organizzata e amministratori pubblici sono stati avviati dai magistrati dei distretti di Napoli, Messina, Salerno, Catanzaro, Reggio Calabria e Cagliari. “Una parte rilevante dell’azione di contrasto – si legge nella relazione della Dna – risulta essere stata svolta dalla procura distrettuale antimafia di Palermo che, per numero e qualità delle investigazioni, ha assunto sicuramente una posizione di preminenza nella repressione delle condotte di contiguità politico-mafiosa”.

Politici meridionali pagano boss per voti. I politici di diverse regioni meridionali avrebbero pagato somme di denaro ai boss delle organizzazioni criminali per ottenere voti nelle ultime consultazioni elettorali. I magistrati analizzano lo scambio elettorale politico-mafioso che ci sarebbe stato in diverse città del Sud. Nella relazione viene evidenziato “il soddisfacente numero di procedimenti d’indagine che puntano a contrastare uno dei settori di maggiore pericolosità dell’infiltrazione mafiosa”. Nella fase delle indagini preliminari, nel periodo che prende in esame la relazione della procura nazionale, emerge che il maggior numero di procedimenti aperti sono a Napoli (8), segue Catanzaro (7), poi Palermo (2) e con un procedimento ciascuno Catania, Reggio Calabria, Bari e Lecce.


Emergenza rifiuti elevata a sistema dalla camorra. La relazione annuale della Direzione nazionale antimafia si occupa anche della crisi rifiuti in Campania. “L’emergenza è stata elevata a sistema, grazie a una perversa strategia politico-economico-criminale che ha fatto sì che la necessità di affrontare il contingente col metodo dell’urgenza rispondesse agli interessi di centri di potere politico, economico e criminale (leggasi camorra)”. Secondo i magistrati è scaturita “una sorta di specializzazione della criminalità organizzata campana” al punto che “oggi può in generale affermarsi che l’Ecomafia veste i panni della camorra”.

In virtù di questo business, l’analisi dei magistrati della Dna rileva che “mentre nei tempi passati una buona fetta dell’economia napoletana si basava sul contrabbando, il cui indotto garantiva la sopravvivenza di larghi strati della popolazione, nel presente è l’emergenza rifiuti che svolge lo stesso ruolo”. “Il che spiega come spesso essa venga creata e mantenuta ad arte – si osserva dalla Dna – con la camorra sempre di sottofondo”.

Impossibile arrivare a mandanti occulti omicidio Fortugno. Per la Direzione nazionale antimafia, i mandanti occulti dell’omicidio di Franco Fortugno “sarà molto difficile individuarli”. “Al momento – si legge nella relazione annuale – solo nuove, significative, collaborazioni, potrebbero fare registrare novità in questa direzione e le collaborazioni cui si fa riferimento dovrebbero provenire o dagli attuali imputati (Alessandro Marcianò e Salvatore Ritorto, quest’ultimo indicato come esecutore del delitto) ovvero dai capi della cosca Cordì, ovvero da altri ambienti coinvolti in qualche modo nella vicenda”.

Su politica e ‘ndrangheta la procura nazionale antimafia sottolinea inoltre che anche le indagini sul tentato omicidio del deputato Saverio Zavettieri sono a un punto morto e, se pure le intercettazioni a suo tempo disposte su tale vicenda si sono rivelate di grande utilità, “non hanno tuttavia consentito di individuarne mandanti ed esecutori, nonostante siano trascorsi quasi tre anni dal fatto”.

Secondo la Direzione nazionale antimafia, che fa il punto sulle indagini che riguardano i mandanti dell’omicidio Fortugno, “la gravità della mancata soluzione non risiede solo nella impunità che ne conseguirebbe per gli ignoti committenti (ed esecutori nel caso del tentato omicidio di Saverio Zavettieri), ma anche nella impossibilità di uscire dalla logica criminale e mafiosa da cui sembra avviluppata e condizionata la Calabria, e ancora nella mancata individuazione dei collegamenti tra poteri politici, occulti e mafiosi, che si intuiscono sullo sfondo degli eventi”.

La procura nazionale sottolinea una fase particolare che non ha trovato sbocco nella società calabrese: “La sensazione diffusa che la fase di rinnovamento e di riscatto che sembrava inaugurata dopo l’omicidio Fortugno (di cui era emblema il movimento dei ragazzi di Locri) si sia rapidamente conclusa e senza il raggiungimento di alcuno dei frutti sperati”.